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2007.
Photos Andrea Boffetta
and Simone Masera.
Estate, agosto, vacanze. Quest’anno ci sono arrivato esausto
e senza soldi perchè in Italia i ritardi dei pagamenti sono diventati la
regola. È finita con la fidanzata: voglio solo fuggire.
Avetik, amico armeno, mi dà l’idea. Compro in Europa un’automobile usata, massimo a
duemila euro, e la vado a vendere in Armenia per diecimila dollari:
con la differenza pago le spese ed il viaggio. Nel Caucaso pochi possono
permettersi di comprare le auto occidentali nuove; molti vorrebbero
comprare quelle usate, ma non c’è offerta. Poca offerta,
molta domanda: i prezzi dell’usato lievitano.
Contatti via internet, contrattazioni via telefono e viaggi per provare la vettura.
I Chilometri segnati sul quadro del cruscotto raramente sono reali;
i volanti, le leve del cambio ed i sedili vengono sovente sostituiti;
solo le guarnizioni rivelano la vera usura dell’auto e solo provando la
macchina si capisce che molte sono dei cadaveri meccanici travestiti
da mezzi di trasporto. Il calendario segna il 4 di agosto: quando
ormai la speranza si stava esaurendo, troviamo una BMW del 1996.
Mancano i soldi per il viaggio: da buon mammone italiano batto
cassa in famiglia e parto.
Venezia. Traghetto. Da Patrasso ad Atene in piena notte adattandomi allo stile di guida greco e
pregando San Cristoforo, protettore dei viaggiatori. Mi sorprendo di
non essere stato vittima di un frontale. Com’è che prego il mio Dio
col cuore solo quando sono nei casini?
Ad Atene ho l’appoggio di due fanciulle: moglie e fidanzata di due
rispettivi amici. Come si fa a ‘stare insieme’ a distanza? I miei amici
in Italia e le donne in Grecia. Io a trentadue anni sono solo. Solo con l’asfalto che scorre sotto le ruote per andare all’aeroporto di Atene a prendere il mio socio.
In due lungo le coste greche che bruciano: il paesaggio è nero, è
appena passato l’inferno. Sparati fino a Kariani difronte alla penisola
del Monte Athos, sacro monte dei monaci. Forse sono fatto per rimanere
solo; forse troverò la mia pace in una comunità monacale.
Preghiere, respirazione, lavori manuali e canti. ‘Il futuro non è dato conoscerlo’ mi
disse un monaco ‘nel frattempo stai allegro’.
La Grecia finisce ed inizia la Turchia. La mia mente sprigiona tutte le
paure che associo a questo signore baffuto che ho difronte: guerra
fondaio, grasso, militarista, islamico, maschilista, genocida. ‘Mamma
li turchi!’ sono cresciuto con questi stereotipi. Che ne so io di questo
signore baffuto? E non sarà certamente un viaggio da turista a farmi
conoscere e capire un paese intero.
Istanbul: occidente ed oriente. La fine dell’Europa o l’inizio dell’Europa
orientale? Le targhe automobilistiche turche hanno già la
fascia azzurra sulle sinistra, manca solo il cerchio di stelle. Lo potranno
aggiungere quando matteranno a posti i conti o quando
riconosceranno il genocidio armeno?
In quartieri sconosciuti, unici turisti, circondati da gatti e bambini che assomigliano a quelli dell’Italia del dopoguerra immortalati nelle foto dei nonni e nei film del Neorealismo.
L’ospitalità distrugge i miei stereotipi e la moschee diventano i luoghi
di pace dove posso pregare e rilassarmi.
Il Bosforo, il Mar Nero e giù fino in Kapaddokia: dal verde del nord al
giallo del sud. Grotte di tufo nelle quali i monaci si rifugiavano dal
mondo: se non si ha la pace dentro al cuore come si può trovare la
pace al difuori di noi? Nelle caverne lontani dai turisti, al silenzio ed
al buio, davvero troviamo la pace. Tutta questa tranquillità spaventa,
non sono abituato a questo silenzio assordante.
Dinuovo in macchina su starde di montagna che spezzano pazienza,
programmi ed ammortizzatori. Massima velocità 20 Km/h.
Esausti e sperduti sulle montagne centrali dell’Anatolia. La gente del posto guarda la nostra BMW
come se fosse un astronave e si rivolge a noi come se fossimo esseri
di un’altra galassia.
Il governo turco ufficialmente non è in guerra cosichè nessun turco
è a conoscenza che la frontiera con l’Armenia è chiusa: non si può
passare direttamente da uno stato all’altro. La pace regna perchè
non ci sono contatti. Puntiamo dunque il Mar Nero verso la frontiera
con la Georgia, patria di Iosif Vissarionovic Dzugasvili, ribattezzato
Stalin, e di Kakhaber Kaladze, giocatore del Milan: due epoche due
simboli. Batumi, località balneare, meta estiva di russi e caucasici fa
di agosto il periodo annuale di massimo splendore. Per due eterosessuali
maschi è un vero sconvolgimento ormonale il passaggio di
frontiera fra la Turchia delle donne velate e la Georgia
delle bagnanti sorridenti. Noi, inquanto italiani, siamo
trattati come dei principi: le fanciulle fanno gli occhi dolci e per
strada la gente è orgogliosa di farsi vedere in nostra compagnia.
È bellissimo ingannarci credendo che le gorgiane si siano invaghite
di noi e non di tutto quello che rappresentiamo. Le
parabole televisive vendono sogni d’occidente. Amore? In fondo anch’io mi innamoro delle
aspettative che riverso su colei di cui mi invaghisco. Addio amate georgiane.
La frontiera armena è caratterizzata dai pagamenti extra. Ogni documento
ha una sua tariffa ufficiale ed una extra che varia a seconda
dell’umore dell’ufficiale della dogana. Per nosta fortuna le risate
hanno contagiato i funzionari della dogana quando hanno visto la
foto stralunata del mio passaporto. Yerevan 275 Km. Sfrecciamo su
strade di montagna, incrociando pastori, cavalieri,
bionde comunità ortodosse russe e mastodontiche fabbriche
sovietiche in disuso. Dopo quasi sette ore arriviamo nella capitale. Avetik e
famiglia ci aprono le porte di casa. Azerbaijan, Georgia, Turchia e Stati Uniti da una
parte; Armenia, Iran, Turkmenistan e Russia dall’altra. Tutte le tensioni del Caucaso sono palpabili, anche se regna una calma apparente. La zona è sempre stata calda. Yerevan, crocevia storico fondamentale per le carovane che viaggiavano
fra oriente ed occidente, e nostra meta in questo viaggio. Dobbiamo
vendere l’auto al mercato delle auto. Un enorme spiazzo polveroso
in cima ad una delle colline che circondano la capitale. Chiunque
voglia vendere o comprare un’auto usata si presenta, durante il
weekend, ed inizia a contrattare. Noi non parliamo nè armeno, nè
russo; grazie all’aiuto di Avetik stampiamo quattrocento volantini in
doppia lingua con tutte le caratteristiche della macchina. Il risultato
è strabigliante: attiriamo noi tutti i compratori. Più gente c’è attorno
alI’auto e più ne arriva: curiosità umana. I vicini, che non hanno mai
visto fare marketing in questo modo, prima s’innervosiscono e poi
s’arrabbiano: dobbiamo smettere di fare volantinaggiio se non vogliamo
finire male. Poco importa: ormai abbiamo gli intenzionati
compratori. Il gioco della contrattazione equivale al teatro.
Vendiamo la BMW, ribattezzata Anatolia, per ottomilaottocentoottantotto dollari, ma dobbiamo sborsare duemila dollari circa per le tasse d’importazione più, come no, extra per i funzionari.
Il nuovo padrone è felice.
I greci dicono che la Grecia è bellissima; i turchi sono orgogliosi della
propria terra; i georgiani chiedono a noi se ci piace il loro paese; gli
armeni sono felici che due italici abbiano abbandonato l’impero romano
per visitare le loro montagne. Guardatevi attorno! Il mondo
intero è bellissimo. La natura è strepitosa ovunque. Solo l’intervento
brutale dell’uomo ha trasformato zone, aree o regioni intere in inferni
di cemento, intossicazione e tensione sociale. Sugli altopiani
armeni esistono villaggi di pastori che conducono una dura vita naturale.
Una luce incredibile filtra attraverso i loro occhi circondati da
una pelle bruciata dal sole e consumata dal tempo: vivono in un paradiso
naturale e non lo sanno. La loro rovina è la televisione. La
nuova colonizzazione occidentale arriva via satellite. Ci sono più parabole
in un paesino del Caucaso che nel vangelo di San Marco. Il calcio, Fathion tv ed i film di Hollywood
fanno il lavaggio del cervello agli abitanti del globo, sognano
un mondo che non esiste: l’occidente della televisione.
Il viaggio è stato fatto, 7439 Km, l’auto venduta, ma siamo fuori con
i conti: fotografie ne abbiamo in abbondanza, scrivo la storia della
nostra avventura e proviamo a vendere il reportage.
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