andrea boffetta
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Adoro viaggiare. Odio incrociare masse di turisti che si dirigono a fotografare le stesse icone cittadine già stampate sulle cartoline. Il mio scopo quando viaggio è quello di perdermi, di non sapere dove sono per scoprire il mondo a modo mio. Fotografo ad istinto ciò che mi colpisce.

Paris, 2008.

Ho la netta sensazione che le città europee si stiano uniformando fra loro. Il centro storico tirato a lucido come una vetrina di un negozio di moda con la polizia che vigila per la sicurezza dei cittadini e dei turisti. Le zonee residenziali hanno la funzione di dividere i cittadini secondo il reddito: ricchi, meno ricchi, medio ricchi, meno poveri, medio poveri, più poveri e morti di fame: la classe media è morta. Aree di uffici slanciate verso l’alto con forme hitech che devono esprimere architettonicamente il potere ed il prestigio dei proprietari. Le zone industriali riconvertite in studi per architetti e pubblicitari o in mete per i sollazzi della notte. Le periferie sono le pattumiere urbane dove si butta tutto ciò che non è conforme all’ordine stabilito, tutto ciò che non si deve vedere, ciò che dà fastidio. Belleville, a Parigi, fa a pezzi la mia teoria. A Belleville c’è il mondo intero. Ho un amico che sostiene che per uccidere i razzismi bisognerebbe mescolarsi tutti, fare all’amore, riprodursi, creare dei meticci. Il futuro è la bastardaggine della razza. Belleville è all’avanguardia. Tutti insieme in vasi comunicanti: la comunità ebraica, islamica, cinese, turca, africana e francese convivono insieme. Questo quartiere eterogeneo che fu di Edith Piaf, è un luogo magico dove si può trovare una sopresa ad ogni angolo. Vecchie casette a due, tre, quattro piani col giardino, innesti di architettura residenziale a dieci piani, alloggi recentemente restrutturati, case popolari sovraffollate, orti sociali. Vecchie famiglie operie, musicisti, ex-sesantottini, commericianti, immigrati di terza, seconda ed ultima generazione, giovani famiglie, studenti universitari stranieri, bande hiphopin e borghesi attirati dalle descrizioni del quartiere dei libri di Pennac. A Belleville c’è la Francia dei bianchi, dei neri, dei gialli e quella dei verdi, dei blu e degli arancioni. A Belleville c’è il mondo intero. Poster, cartelloni, graffiti, slogan, scritte e intallazioni ovunque per strada. Musica, concerti, strumenti e note che volano nel quartiere. Che lusso essere pagato per perdermi per tre giorni per le starde tutte sali e scendi di questo mondo. Birra o pastis per attaccare bottone coi baristi e coi i loro compari al bancone. Nessun turista in circolazione e tante chiacchere con gli stravaganti, particolari, unici abitanti di questo paradiso che secondo gli standard correnti è un quartiere decadente. Ogni locale è unico e particolare: in ogniuno si respirano le radici culturali del proprietario, che incide la sua filosofia di vita sulle pareti e ti fa ascoltare le note e le arie del suo paese. E’ bellissimo questo senso di comunità che si respira. A Belleville c’è il mondo intero. Anche a New York c’è il mondo intero, ma ogni comunità vive in un universo impermeabile: sei solo in mezzo a tutti. A Belleville sei con tutti. Non hai la connessione internet in casa? Due possibilità: scendi al parco dove c’è il wifi gratuito o suoni al vicino, gli chiedi la sua password, ti bevi un te con lui e navighi. Non sai cosa fare questa sera? Sali al settimo piano ed inviti l’inquilina americana ad un concerto. La musica non era granchè, lei in compenso è bellissima. In questo paradiso sembra che non esista l’isolamento, la despersonalizzazione e l’appiattimento delle grandi metropoli. Difetti. Non è possibile che non ne esistano. Il problema, in un carnaio come Belleville, può essere trovare un po’ di solitudine e silenzio. Il limitrofo cimitero di Père Lachaise risolve la questione. Ive Montand, Max Ernst, Oscar Wilde, Gioacchino Rossini ed altri famosi attirano molti turisti; io cerco le tombe dei perfetti sconosciuti dove posso stare tranquillo. Manca il verde? Ebbene no, il centro del quartiere è un parco. Strepitosi tramonti con le luci del nord Europa e vista panoramica sulla capitale francese dalla collina più alta della città. Penso a quando, da bambino, mi sembrava così assurdo che i vecchietti passassero le giornate seduti su una sedia senza fare nulla. Fotografavano il mondo con gli occhi. L’ho capito solo ora guardando gli anziani al parco. Strutture per lo sport? Visto che c’è poco spazio un unico campo si sfrutta sia per giocare a basket che a ‘football’. Belleville è il paradiso? Forse per me, turista spensierato, lo può sembrare. Realmente il quartiere è realmente sovrappopolato, gli spazi sono limitati e molte famiglie si nota che arrivano a fine mese con grandi sacrifici. La bande hiphop spacciano sulla terrazza panoramica. Gli unici che non riesco a fotografare sono proprio i ragazzi del parco di Belleville: ‘troppo abituati alle foto della polizia per non accorgersi subito della tua macchina fotografica’ mi dice un amico. I loro sguardi di gruppo, tutti rivolti verso di me, mi hanno fatto capire che non erano ben accetti i ritratti d’autore. Peccato. Sono sicuro di un’unica cosa: a Belleville c’è il mondo intero ed io sono stato accolto come raramente succede in una città.