andrea boffetta
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Adoro viaggiare. Odio incrociare masse di turisti che si dirigono a fotografare le stesse icone cittadine già stampate sulle cartoline. Il mio scopo quando viaggio è quello di perdermi, di non sapere dove sono per scoprire il mondo a modo mio. Fotografo ad istinto ciò che mi colpisce.

Sevilla, 2007.

Fare il fotografo in giro per Siviglia non ha grande merito: la città è baciata dal sole tutto l’anno, i cieli sono spesso tersi, la luce naturale, sempre abbondante, esalta angoli e colori. La gente è molto aperta, felice di lasciarsi fotografare e sempre pronta a farsi offrire una ‘caña’, bicchiere di birra. Qualcuno disse che nella vita di un essere umano non ci sono energie sufficenti sia per fare che per parlare: ad un certo punto bisogna scegliere. I sevigliani sembra proprio che abbiano optato per parlare. Realmente mi lascio portare in giro dai cittadini stessi: ci mancava solo che mi dicano che cosa dovevo inquadrare. Io sono un ‘giri’, uno straniero al quale fare visitare le meraviglie della città, orgoglio dei suoi abitanti. La mia sensazione è che Seviglia sia, nel bene e nel male, un grande paese con la cultura dell’agricoltura e della qualità di vita che vive il florido presente con grandi ricordi del passato. L’eleganza informale è associata a quello stile inglese fatto di tweed, cavalli e partite di caccia. Per le occasioni ufficiali la forma impone: per gli uomini completi scuri, capelli pettinati con la riga da un lato in stile aristocratico e creatività cromatica per la scelta delle cravatte e delle camice rigorosamente ornate ai polsi dai gemelli; per le donne ci si può sbizzarrire nel vestirsi nel modo più ricco possibile, sempre sognando il giorno in cui potranno travestirsi da meringa per il matrimonio. Naturalmente questi sono i commenti dei miei compagni di bar: gli ‘alternativi’ della città sempre critici verso i ‘pijos’, gli altolocati concittadini. Ho la netta sensazione che i costumi e le usanze rimarranno tali per le feste tradizionali, ma che nella quotidinaità andranno gradualmente perduti a favore dello stile internazionale. Nel resto della Spagna la siesta nei giorni lavorativi è già scomparsa: Seviglia per ora resiste, ma quanto durerà? I ‘modernitos’ sono coloro che portano lo stile globale in questa terra. Moda, architettura, locali, stile di vita globale, moderno, tecnologico. Ognuno sceglierà il suo stile, ma alla fine tutti finiscono al bar, sempre pieni a qualsiasi ora del giorno e della notte, reali punti di riunione dei concittadini. Si beve e, sopratutto, si parla. Tra una ‘caña’ e l’altra questo è il luogo dove si risolve ogni tipo di questione lavorativa, amorosa, politica e filosofica. Nessuno rinuncia ad esprimere il suo punto di vista anche se non è un esperto sull’argomento, anche se nel fondo non sa nulla sulla questione. Se nasce una polemica diventa sovente una questione inesauribile, da riprendere a più puntate, cioè in più serate. Alchool, tapas e parole in locali piccoli e ripieni di gente. Vince chi grida più forte. Io faccio finta di ascoltare e assaporo le meraviglie culinarie della regione. Il fiume Guadalquivir, non passa in mezzo alla città, ma divide la città in due parti. Dalla Expo del 1992 si è tentato di dar vita alla sponda ‘morta’ con la costruzione di nuovi ponti e con iniziative che invogliassero i cittadini ad abbandonare il solito bar per visitare l’altra sponda della città. Difficile smuovere i sevigliani dalla propria tanto amata routine. Il lato della Expo risulta oggi monumentale, moderno e deserto, talvolta abbandonato come il giardino botanico dove dormono i senzatetto. Per me è un magnifica area cittadina di silenzio e natura che poche altre urbes possono vantare. Io mi sono innamorato del Centro Andaluz de Arte Contemporaneo, un enorme recinto, ex monastero ed ex fabbrica di ceramiche, che oggi ospita dei fantastici giardini pubblici con ulivi e palme, un museo d’arte contemporanea, l’università, una biblioteca e vari uffici pubblici. Sempre su questo lato, appoggiata sulla calle Betis che costeggia il Guadalquivir, si trova Triana, Republica independiente, quartiere un tempo indipendente, separato da Sevilla, patria di marinai, operai, toreri, cantautori, artigiani della ceramica e ballerini di flamenco. ‘La gente di Triana tiene duende’, la gente di Triana ha qualcosa di magico. Era la zona del porto commerciale ultima difesa della città prima delle mura. Sempre piena di gitani nonostante le frequenti espulsioni. Oggi è la zona più di moda, dove tutti vorrebbero abitare, dove la speculazione immobiliare genera fughe e fortune. Sole, parole, ‘cañas’, cavalli, tori, ceramica, flamenco, chitarre, ‘vida en la calle’. Viva Siviglia, magica città, dove, al di là del bene e del male, la gente impara a vivere e a godersi la vita sotto un sole quasi africano.