andrea boffetta
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Adoro viaggiare. Odio incrociare masse di turisti che si dirigono a fotografare le stesse icone cittadine già stampate sulle cartoline. Il mio scopo quando viaggio è quello di perdermi, di non sapere dove sono per scoprire il mondo a modo mio. Fotografo ad istinto ciò che mi colpisce.

Zagreb, 2007.

Marijana e Beppe, lei croata, lui italiano: in comune hanno un figlio, Dante. Zagabria per me vuole dire accompagnare un amico in auto che va a prendere un bambino di otto anni a 830 km di distanza; Zagabria significa entrate per due giorni nelle dinamiche di una famiglia croata formata da cinque elementi; Zagabria significa rimettere in dubbio tutte le mie convinzioni sull’amore, la coppia e l’educazione di un fanciullo; Zagabria, per me, è guardarmi nello specchio e riscoprirmi codardo per non aver avuto il coraggio di accettare un figlio che oggi avrebbe otto anni come Dante. Avevo un’idea fiabesca della principessa perfetta a cui dedicare tutto il mio essere; lei fonte di tutto l’amore di cui sento la necessità; un’immagine idilliaca della coppia perfetta che vive solo d’amore: solo una tale coppia poteva patorire ed educare bene la futura prole. L’aborto a venticinque anni codiviso con una fidanzata spagnola di vent’anni, il secondo grande amore della mia vita. In giro per Zagabria con in testa mille immagini: passato e presente mescolati. Si è abortito perchè non era il momento giusto, perchè non ci sentivamo in grado di educare una creatura, perchè avevamo ancora mille cose da fare prima di prenderci le enormi reponsabilità di essere genitori, perchè trovavamo mille ragioni per evitare di avere un bambino. Io dentro di me non ho mai proposto veramente di accettare il nuovo venuto perchè ero in crisi con la coppia: dopo un anno avevo il mio tipico momento di fuga, mi sentivo soffocare dall’amore di lei e iniziavo a guardare tutte quelle che passavano come occasioni perdute. Certo l’amavo. Solo ora scopro che in amore sovente sono stato un codardo, uno che per paura di essere lasciato, scappa prima, abbandona. Non è facile scrivere. Mi immedesimo sempre nell’eroe buono del film, ma sovente nella mia vita sono stato il brutto antagonista che nessuno vorrebbe essere. Prima dell’operazione mi convinsi che l’aborto non fosse altro che l’asporto di un grumo di sangue, otto anni dopo, quando vedo Dante felice che ci apre la porta di casa di Zagabria, mi manca quel bambino che mai c’è stato nella mia vita. Con Laura, ne abbiamo parlato in lacrime: se fosse stato maschio, lei ne era sicura, si chiamerebbe con un nome italiano, Martino. Mi dispiace. ‘Se tornassi indietro...’, ma non si può: il passato appartiene al passato. L’unica cosa che mi rimane e questa tristezza che mi fa dire ‘mi dispiace’. Mi dispiece non aver avuto il coraggio, la spensieretezza, l’irrazionalità di dare la vita, cioè il più grande regalo che si possa ricevere, ad un nuovo essere umano. A Zagabria faceva freddo fuori e dentro il mio cuore.